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martedì 21 novembre 2017

La vulnerabilità del bambino prenatale


THE VULNERABLE PRENATE
LA VULNERABILITA’ DEL BAMBINO “PRENATALE”
DR William Emerson
Traduzione e adattamento di Tamara Macelloni

Questo articolo chiarisce le condizioni in cui le esperienze prenatali producono effetti su tutto il resto della vita e descrive le prospettive necessarie per comprendere gli effetti dei traumi prenatali.

Introduzione

Il bambino prenatale (il bambino non ancora nato, ancora nel ventre materno) è estremamente vulnerabile per moltissimi motivi, che non sono né riconosciuti né ben distinti.
Molte persone pensano, o partono dal presupposto, che i bambini prenatali non sono coscienti e a stento attribuiscono loro lo status di essere umano. Ricordo un recente viaggio in treno durante il quale una madre in attesa sedeva in una carrozza fumatori piena di gente chiassosa. Le chiesi se si stava preoccupando per il bambino che era dentro di lei e se pensava che il fumo e l’ambiente rumoroso potessero dar fastidio. Ella rispose: “ Certamente no, a questo stadio i bambini non sentono niente”!
Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Le teorie e le ricerche degli ultimi 20 anni dimostrano che le esperienze prenatali non solo possono essere ricordate, ma hanno anche un impatto sull’intera vita della persona. Lo scopo principale di questo articolo è di chiarire le circostanze in cui le esperienze prenatali avranno un impatto importante sul resto della vita e descrivere le prospettive teoriche e le ricerche necessarie per comprendere gli effetti dei traumi prenatali.

Sistemi di “traumi interattivi”

Le esperienze prenatali hanno maggiori possibilità di avere un impatto sul resto della vita quando sono seguiti da condizioni rinforzatrici o traumi interattivi. Il termine trauma interattivo significa che i traumi interagiscono fra loro nel produrre i loro effetti. Nell’ambito delle analisi statistiche, interattivo significa che gli effetti dei fattori dipendono dalla presenza di altri fattori. Entrambe queste definizioni comunicano  il significato di interazione che usiamo in questo articolo. Per esempio, è improbabile che essere bloccati nel canale del parto durante la nascita causi un senso di claustrofobia negli adulti.  Tuttavia è possibile soffrire di claustrofobia se traumi simili e “rinforzatori” si presentano in seguito.



In uno dei casi che ho trattato, un bambino che era rimasto bloccato durante la nascita era anche rimasto chiuso in bagno per 24 ore da piccolo e il fratello aveva cercato di strangolarlo in varie occasioni. In questa situazione ci sono diversi punti rilevanti, ma il trauma prenatale fornisce il “substrato” per le esperienze successive. In altre parole, le esperienze della vita sono percepite in termini di traumi precedenti non risolti.
Quando un bambino rimane bloccato durante la nascita, è già più predisposto a percepire gli eventi successivi come intrappolati o a manipolare inconsciamente e scegliere situazioni di vita che portano a sentirsi intrappolato. Questo processo è detto ricapitolazione. In seguito, eventi simili o ricapitolati, indipendentemente dai processi percettivi, hanno una grande probabilità di rinforzare il trauma prenatale, sfociando in sintomi cronici. In questo caso, per il bambino di cui abbiamo appena parlato, gli eventi dell’infanzia hanno agito come rinforzatori del trauma di nascita risultando in un claustrofobia cronica.


Gli effetti delle esperienze prenatali: il bambino prenatale è un essere consapevole

Durante il congresso APPPAH di San Francisco nel 1995, David Chamberlain condivise un’esperienza che esemplifica la consapevolezza del bambino prenatale. In questo caso il bambino era stato sottoposto ad un’amniocentesi. Nel video si notava che quando l’ago era inserito nell’utero, il bambino si voltava verso l’ago e lo allontanava da sé. Pensando di essere di fronte ad un’aberrazione, lo staff medico ripeté la procedura di inserimento e di nuovo il bambino reagì nel solito modo. Altri aneddoti ci raccontano di bambini che sistematicamente si allontanano dagli aghi che entrano nell’utero. Basandoci su queste osservazioni, possiamo tranquillamente concludere che i bambini sono molto coscienti di quanto sta loro accadendo intorno, specialmente degli eventi che hanno un diretto impatto su loro stessi.

Nel suo libro “From Fetus to Child”, Alessandra Piontelli cita molti casi di consapevolezza prenatale. Ella descrive una coppia di gemelli a circa 4 mesi di gestazione, molto consapevoli della presenza dell’altro, che interagivano periodicamente. Uno dei gemelli era attivamente aggressivo e l’altro sottomesso. Ogni volta che il gemello dominante spingeva o mordeva, il gemello sottomesso si allontanava e posava la testa sulla placenta nel tentativo di riprendersi. Dopo la nascita, all’età quattro anni, i due gemelli sembravano avere lo stesso tipo di relazione. Ogni volta che c’era un litigio o della tensione fra loro, il gemello passivo correva nella propria stanza e metteva la testa sul cuscino. Si portava anche dietro un cuscino che usava come oggetto di transizione, rifugiandosi in esso quando l’altro gemello diventava troppo aggressivo.
Con riferimento a questa e ad altre ricerche (come Babies remember birth di David Chamberlain e Primal connections di Elisabeth Nobles) appare chiaro che i bambini prenatali sono esseri consapevoli e che i comportamenti che mostrano in grembo si manifestano in seguito anche durante la vita.

Gli eventi prenatali rimangono nella memoria

Per anni è stata dura comprendere come le esperienze prenatali possano essere ricordate. Il sistema nervoso centrale è molto rudimentale durante il periodo prenatale e non completamente mielinato (ricoperto di uno strato protettivo). In  ogni modo durante le regressioni di adulti in alcune comunità primal è un fatto molto frequente regredire ad eventi prenatali. Nel 1970 Graham Farrant, un medico australiano, iniziò a fare esperienze di eventi prenatali e videoregistrare le reazioni corporee. Fu stupefatto quando scoprì che la maggior parte delle memorie prenatali significative erano sperimentate a livello cellulare invece che nei tessuti muscolari o scheletrici e le denominò memorie cellulari.
Nel 1975 Frank Lake un teologo e psichiatra inglese scoprì che le memorie prenatali derivavano da cellule virali, che i virus erano cellule prenatali primitive che si formavano durante il trauma e portavano memorie traumatiche. Durante gli ultimi anni, un considerevole numero di ricerche nel campo della biologia cellulare ha dimostrato e supportato la teoria che le memorie si possono codificare nelle cellule.
Le ricerche del Dr Bruce Lipton, intervenuto al Congresso APPPAH del 1995 supportano e avvalorano le conclusioni di Farrant e Lake.

Le Memorie Prenatali potrebbero essere le più influenti

Un gruppo di psicologi europei, guidati dal R.D. Laing e Frank Lake (entrambi deceduti) affermano che le memorie prenatali hanno un’influenza più significativa perché sono le prime. Questa prospettiva è chiara nel libro “The Facts of Life” di Laing, dove egli scrive: “ L’ambiente è registrato dal primo momento della mia vita; dalla prima cellula di me stesso”. Ciò che accade alle primissime cellule di me può riverberarsi su tutto il resto delle generazioni cellulari che derivano da questa prima coppia genitoriale. La mia prima cellula porta tutte le mie memorie ‘genetiche’ (p.30).
E continua: “ Mi sembra credibile, come minimo, che tutte le esperienze nel nostro ciclo vitale, a partire dalla prima cellula, sono assorbite e conservate fin dall’inizio, e forse soprattutto all’inizio. Come questo possa succedere non lo so: come una cellula possa generare i miliardi di cellule che io sono adesso. Sembra impossibile, ma tuttavia i fatti sono questi. Quando guardo gli stadi embriologici del mio ciclo di vita, faccio l’esperienza di vibrazioni simpatetiche in me adesso…come io sento adesso, sentivo allora”(p.36). Frank Lake ribadì la visione di Laing. Lake diceva che l’esperienza più formativa era quella prenatale, specialmente nel primo trimestre intrauterino. In USA, Lloyd de Mause ha ampiamente scritto sulle influenze sociali, culturali e politiche delle esperienze prenatali e le ha riferite anche al congresso APPPHA.

I bambini prenatali incorporano le esperienze e i sentimenti dei genitori

Durante le sue regressioni con pazienti adulti, Lake scoprì anche che gli avvenimenti più influenti sono le esperienze materne che passano biochimicamente attraverso il cordone ombelicale tramite le catecolamine. I bambini incorporano le esperienze e i sentimenti dei genitori, specialmente quelle della madre. Le emozioni materne ( e quelle paterne attraverso le risposte emozionali della madre) si infiltrano nel feto. Le ricerche dimostrano che l’esperienza della madre diventa anche l’esperienza del bambino.
Il seguente caso rappresenta un buon esempio: Il padre di una donna morì prima che ella concepisse suo figlio. Passò i nove mesi seguenti in uno stato depressivo per il lutto del padre. Se è vero che il bambino sperimenta le stesse emozioni della madre anch’egli avrà provato un senso di perdita e depressione e questi sentimenti sarebbero potuti riaffiorare durante l’infanzia o l’età adulta e questo sembra essere il caso. 

Durante l’infanzia, il suo bambino era periodicamente depresso e il personale medico non aveva mai trovato basi fisiologiche o psicologiche per questa depressione (naturalmente non erano state prese in considerazione le esperienze prenatali). Quando il bambino cadeva in depressione, disegnava uomini vecchi e morenti in una grotta (nella psicologia pre- e  perinatale la grotta simboleggia l’utero, il luogo dove ha fatto esperienza della perdita del nonno). Subito dopo aver disegnato il bambino stava meglio per un po’ di tempo, ma la depressione si riaffacciava poco a poco. Non era assolutamente consapevole della connessione tra i suoi disegni e la morte del nonno. La depressione divenne cronica quando iniziarono le tensioni tra i genitori (suo padre e sua madre vivevano separati, ma lo crescevano insieme). La tensione simboleggiava la perdita di suo padre e suo nonno. Occasionalmente nei disegni appariva una piccola bimba che cercava affannosamente l’uomo morente. La piccola bimba rappresentava probabilmente il suo femminile, il bambino interiore della madre e/o l’esperienza di una gemella femmina della perdita del nonno. Probabilmente il lutto non sarebbe riapparso sottoforma di depressione cronica senza le condizioni rinforzatrici della perdita del padre e delle discordie genitoriali.

E’ importante comprendere che, sebbene i bambini in fase prenatale partecipino all’esperienza dei genitori, fanno anche una loro propria esperienza indipendente da quella dei propri genitori. Non è ancora chiaro di come tutto questo funzioni, ma sono state riferite sufficienti situazioni a supporto di questa affermazione. Ad esempio, ricordo l’esperienza regressiva di un bambino gemello che era stato varie volte a contatto con aggressioni fisiche e verbali tra sua madre e il suo fidanzato durante la gravidanza.  Raccontava di questi costanti litigi durante i quali lui e il suo gemello si rannicchiavano e dondolavano fino a che non finivano i contrasti. Mettendo in atto questo tipo di risposta si sentivano bravi (per aver evitato la tensione) e rilassati. Forse la confortante presenza di un gemello rendeva più semplice la separazione dall’esperienza dei genitori.

Le esperienze prenatali possono influire in modo drammatico e sintomatico quando sono agiscono come rinforzatori

Nel caso della donna che perse il padre poco prima della gravidanza, il bambino ha presumibilmente sperimentato lo stesso senso di perdita della mamma.
Oltre a questo, si è aggiunto un trauma personale e tangibile poco tempo dopo. All’ottava settimana di gravidanza, il marito della madre la lasciò improvvisamente per un’altra donna, provocando uno shock e facendola sentire profondamente abbandonata. Si presume che anche il bambino dentro di lei si fosse sentito abbandonato. Dato che la donna aveva poca sicurezza finanziaria e non si sentiva in grado di crescere il figlio da sola, decise di abortire.
Tentò diversi aborti, molti dei quali usando un ferro uncinato o la parte curva di una stampella per abiti. Durante l’infanzia, suo figlio manifestò periodicamente atteggiamenti sadici ed autodistruttivi.
Le manifestazioni di questo sadismo assomigliavano molto ai tentativi di aborto della madre, anche se inconsapevolmente. Si bruciava con le sigarette e perforava le parti intime con oggetti metallici appuntiti. Il suo strumento sadico preferito era un amo da pesca, ma si lamentava di non poterne trovare una abbastanza grande. Durante l’adolescenza fu arrestato trenta volte per aggressione e il suo modus operandi era una reminiscenza dei tentativi d’aborto della madre.
In genere assaliva le sue vittime mentre dormivano, usando cavi di metallo intrecciati con un uncino saldato in cima!

Aggressione e violenza sono sintomi patologici derivanti da traumi rinforzatori multipli uniti a temi di perdita, abbandono e aggressione

Nel caso appena descritto, il bambino prenatale aveva fatto l’esperienza di un’intensa perdita e dell’abbandono subiti dalla madre. In aggiunta aveva anche fatto l’esperienza dell’abbandono aggiunto ad un narcisismo genitoriale ( cioè la madre era così assorbita dal suo senso di abbandono e perdita che aveva poca o nessuna cognizione di lui, né il tempo o l’energia di onorare la sua presenza).
Al contrario, era percepito come un peso e qualcosa di cui disfarsi. Come conseguenza di questi sentimenti, egli subì anche l’aggressione dei tentativi d’aborto della madre.

I Traumi prenatali e della nascita sono “Immagini specchio”

I traumi prenatali hanno due impatti distinti sulla nascita. Prima di tutto, la nascita è spesso percepita e sperimentata in termini di trauma prenatale. Per esempio, i bambini che hanno sperimentato tentativi d’aborto, hanno anche la probabilità di vivere il parto come una manovra distruttiva. I bambini che hanno subito aggressioni o violenze mentre erano nell’utero, hanno la probabilità di sperimentare gli interventi durante la nascita come aggressivi e violenti, anche senza l’intenzionalità da parte del personale medico o dei genitori.

Inoltre, come documentato da Sheila Kitzinger, laddove sia presente un significativo stress (trauma) prenatale, esiste una crescente casistica, statisticamente registrata, di complicazioni del parto. Maggiore è il livello di stress o trauma durante il periodo prenatale, maggiore è la predisposizione a complicanze alla nascita ed interventi ostetrici. 
Questo è esattamente ciò che accadde nel caso della madre a cui era morto il padre prima di rimanere incinta e che tentò più volte di abortire. Il parto fu molto difficile con un lungo travaglio e molte complicazioni. Furono fatti, ripetutamente, diversi interventi, tra i quali l’induzione, aumento, sedazione, analgesici, anestesia, forcipi, episiotomia, reparto di terapia intensiva e respirazione forzata.

Dobbiamo sottolineare che la severità dei sintomi in questo caso derivano da traumi addizionali e rinforzatori, tutti comprendenti un senso di perdita, abbandono e aggressione. A tre mesi di vita, la madre portò il figlio al supermercato con il passeggino e, dimenticando di averlo con sé, lo  lasciò in una corsia per varie ore prima di rendersene conto. Oltre a questo, ebbe anche un fidanzato che abusava ripetutamente del bambino nei primi anni di vita. Questi traumi multipli si ripresentarono nell’età adulta con aggressioni e violenze.

I traumi prenatali e perinatali indeboliscono il legame madre-figlio alla nascita

Oltre al rischio di problematiche perinatali, i traumi prenatali hanno anche un impatto più insidioso: riducono notevolmente la quantità e la quantità del legame alla nascita. Tale riduzione avviene per due ragioni: la prima riguarda l’ottundimento difensivo di mente e corpo, una nostra difesa naturale (Bloch, 1985). Questa auto- anestesia avviene a seguito di cambiamenti ormonali susseguenti a trauma e shock. Quando il corpo e la mente sono sedati e quando il corpo è esausto a causa di uno stress, la quantità e la qualità del legame diminuiscono.
Il secondo impatto riguarda l’incapacità dei genitori e di altri di riconoscere il trauma, che diminuisce ulteriormente il processo del legame. Un trauma è generalmente seguito da un periodo critico di tempo in cui la persona richiede comprensione, accettazione e compassione per poter abbassare il livello di shock ed iniziare la guarigione. 
Purtroppo è raro che i neonati ricevano comprensione, accettazione  e compassione dopo i loro traumi  pre- e perinatali. Questo semplicemente perché nessuno sa, o crede, che ci sia stato un trauma. Come ho potuto verificare durante le  mie ricerche cliniche, i traumi non riconosciuti creano diffidenza nei bambini e ciò impedisce il processo di legame. Al contrario, è riconosciuto un livello e una profondità maggiore di legame in quei bambini che non sono stati traumatizzati o in quelli a cui sono stati riconosciuti i sintomi del trauma. Il legame si arricchisce nella sua profondità, intensità e durata. Se prestiamo attenzione alla qualità del legame, ci rendiamo conto che sarà significativamente ridotta o alterata dalla presenza di traumi non riconosciuti e non trattati.

La mancanza di legame predispone l’individuo all’aggressione e alla violenza

Negli ultimi venticinque anni, lavorando con i bambini, ho trovato importanti interrelazioni tra il trauma prenatale, il trauma della nascita, il legame e l’aggressione. La prima interrelazione è che la nascita pregiudica il processo del legame perché molti degli aspetti della nascita sono psicologicamente e fisicamente dolorosi per il bambino. Gli esami e i test medici sono percepiti dal neonato come invasivi, non necessari e dolorosi e tutto ciò è raramente riconosciuto. Seguendo il protocollo, il personale medico separa il bambino dai genitori alla nascita e questa separazione è spesso vissuta come un terrificante abbandono.

L’esperienza della permanenza nel reparto di terapia intensiva risulta terrificante, sovra-stimolante, paurosa e vissuta in solitudine. L’anestesia è particolarmente d’impatto sul legame perché i residui rimangono in parte anche nelle ore e nei giorni successivi alla nascita e mantiene il figlio e  la madre in uno stato di torpore e quindi meno disponibili ad iniziare un processo di legame affettivo.
L’Epidurale sembrava essere superiore ad altri anestetici per le problematiche dell’attaccamento, ma le ultime ricerche hanno dimostrato che anche le madri che hanno scelto questo tipo di anestesia mostrano comunque un minor attaccamento ai loro figli rispetto alle madri che non l’hanno ricevuta.
Questo sono solo alcuni esempi degli effetti del trauma della nascita sul legame affettivo. In ogni caso il processo di legame risulta condizionato perché è difficile per i bambini aver fiducia nei loro genitori quando questi non hanno percepito o riconosciuto il loro trauma pre- o perinatale.
In termini generali, maggiore è il numero e l’importanza dei traumi prenatali e della nascita che non  sono stati riconosciuti, maggiore sarà l’impatto sull’attaccamento.
Inoltre, quando i traumi non sono trattati, la loro influenza sul legame è aggravata da fatto che il bambino traumatizzato rimane in atteggiamento difensivo nei confronti del mondo e non lascia che “il mondo lo tocchi”.Molti genitori riferiscono che i loro bambini sono molto indipendenti, ma questo atteggiamento è spesso una copertura del loro atteggiamento difensivo. Questi bambini si comportano come se tutto andasse bene e non avessero bisogno di conforto o di supporto.  Non si lasciato facilmente confortare o sostenere, respingendo i genitori o/e ignorando i loro tentativi di conforto o consolazione. Molte volte si lasceranno consolare solo dopo una serie di resistenze. 

E’ importante comprendere che una carenza di legame affettivo può essere sufficiente per genere aggressione e violenza. Questo fatto sorprendente è emerso durante gli studi di vari ricercatori. Ad esempio, Magid e McKelvey (1988) riferivano che i bambini con diverse difficoltà d’attaccamento non sviluppano una coscienza e manifestano atti asociali e antisociali senza rimorsi.
Le ricerche di Felicity De Zulueta (1993) nel campo del legame e attaccamento concludono che le aggressioni violente sono il risultato di un legame danneggiato.
Citiamo qualche passaggio: “Uno dei principali risultati degli …studi sul comportamento nell’attaccamento è la manifestazione di un collegamento fra il trauma psicologico, come una perdita (di un legame), e  un comportamento violento e aggressivo”  e conclude che maggiore è il danno sul processo di legame affettivo, maggiore sarà la probabilità di comportamenti aggressivi e violenti durante l’infanzia e in età adulta.

Risulta chiaro dalle osservazioni e dalle ricerche cliniche, che le probabilità di aggressione e violenza sociale aumentano notevolmente in presenza di aggressione e violenza durante il periodo pre- e perinatale di sviluppo. Il bambino prenatale assorbe energie aggressive e violente ed ha maggior probabilità di riproporre in seguito ciò che ha conosciuto nello spazio prenatale.

Le esperienze Pre- e Perinatali che predispongono ad aggressività e violenza
      
Per la determinazione delle basi eziologiche  prenatali alla base della violenza e aggressività, ho proposto ad una serie di esperti del settore, tra i quali R.D. Laing, Frank Lake, Barbara Findeisen, Stan Groff, Michael Irving, un questionario in cui chiedevo di esporre il tipo di esperienze regressive portate da pazienti aggressivi e violenti che avevano avuto un’importanza centrale nel successo del trattamento. Tra le varie risposte c’erano dei fili conduttori comuni, ad esempio:
1-     Le esperienze pre- e perinatali erano di fondamentale importanza in aggressività e violenza.
2-     Le esperienze dell’infanzia sembravano riflettere e rinforzare i traumi prenatali.
3-     Aggressività e violenza si riferivano ai livelli più severi di trauma pre- e perinatale.
4-     Perdita, abbandono, rifiuto e aggressione erano fortemente collegati all’aggressività.
5-     Alcuni traumi pre- e perinatali erano strettamente collegati ad aggressività e violenza.

Di seguito sono descritte  tutte queste esperienze.

Per  avere una chiave di lettura più ampia di tali esperienze, è importante ricordare alcuni principi e riferimenti di base già menzionati all’inizio dell’articolo.
Innanzitutto i traumi multipli hanno maggior  probabilità di sfociare in violenza e aggressività rispetto a traumi isolati.
Secondo, maggiore è il grado di danno del legame, maggiore è la probabilità di aggressività e violenza.
Terzo, traumi prenatali che comprendono perdita, abbandono o rifiuto hanno una maggior probabilità d’impatto sul legame rispetto a traumi di altra natura.
Infine, l’esposizione diretta ad aggressione e violenza durante il periodo prenatale è un indicatore molto significativo per violenza e aggressività nell’età adulta. Il vecchio adagio: “I bambini imparano ciò che vivono”, in questo contesto è molto rilevante. Come i bambini, anche i bimbi prenatali “imparano ciò che vivono” e coloro che vengono esposti ad aggressioni e violenza saranno soggetti a manifestarle in età adulta.

Concepimento
Quando i clienti con problematiche di aggressione e violenza regrediscono, spesso rivivono l’esperienza del concepimento. Riferiscono che sono consapevoli dei temi traumatici intorno a loro e nelle immediate vicinanze. I traumi più ricorrenti che riportano riguardano sesso forzato, manipolato, stupro, abuso di sostanze, abuso psichico, situazioni familiari, sociali e culturali squallide, vergogna personale o culturale ( ad esempio quando i figli sono concepiti fuori dal matrimonio). Spesso parlano di aggressioni  intense, annientamento, morte, potere o rifiuto vissuti sottoforma di spermatozoo o ovulo. Per citare un esempio di concepimento traumatico, un bambino era stato concepito fuori dal matrimonio in una piccola comunità religiosa dove questo tipo di fatti era visto con disprezzo. Sua madre aveva provato vergogna, senso di colpa e derisione pubblica, prima di decidere di tenere il bambino e il bambino stesso aveva sentito lo stesso livello di vergogna, senso di colpa  e derisione pubblica della madre.
La derisione era stata vissuta in modo particolarmente annientante  e ostile. Tutto questo ha portato ad avere tratti caratteriali di moralismo, masochismo, ostilità, auto-derisione e auto-condanna.

Annidamento 
L’annidamento è quel processo biologico in cui l’embrione si attacca alla parete uterina ed è un passaggio tanto vitale quanto precario dello sviluppo embriologico. Prima e durante l’annidamento, i pazienti in stato regressivo riportano esperienze di terrore per essersi sentiti vicino alla morte. Raccontano di essersi sentiti indesiderati, di non aver nessun posto dove andare, non appartenere a nessun posto e di aver “deciso” che il mondo è ostile e pericoloso. Spesso sprofondano nella disperazione e/o reagiscono con la rabbia, fluttuando  fra i due estremi e manifestando un intenso “complesso salvatore” (sentono il bisogno di salvare gli altri o di essere salvati). La vita di Cristo fu, per molti versi, una metafora di annidamento. “Non c’era spazio nella Locanda” ed il “suo Regno non era di questo mondo” ed Egli si fece uomo per salvare il genere umano.

Molte persone con problemi di aggressività riferiscono della perdita di un gemello. Le loro problematiche di aggressività sono tipicamente in relazione a masochismo e/o forme nevrotiche di autocritica. Le ricerche embriologiche indicano che la perdita di un gemello si verifica con molta più frequenza di quanto si pensava in precedenza. Gli embriologisti stimano che il 30% -80% dei concepimenti è multiplo (cioè gemellare) e dato che il tasso di nascite gemellari è di molto inferiore al 30% - 80% rispetto al totale, essi concludono che in molti concepimenti uno dei due gemelli muore. Ciò può verificarsi principalmente prima o durante l’annidamento, anche se in alcuni casi accade dopo.

Le persone che hanno perso un gemello manifestano dinamiche comuni. Prima di tutto c’è un ineffabile e profondo senso di perdita, disperazione e rabbia. Questi sentimenti, anche se generalmente non espressi, possono in alcuni casi manifestarsi contro altri. Oltre a questo persiste un cronico ed inarticolato sentimento di paura di subire di nuovo questa perdita, accompagnato da grande insicurezza. La paura della perdita è controllata prendendo distanza dagli altri oppure instaurando relazioni co-dipendenti. Si manifesta poi un’incapacità di creare legami con altri o atteggiamenti nevrotici per mancanza di fiducia nelle relazioni o nella loro durata. 
Spesso mostrano una sottomissione eccessiva basata sul sentimento inconscio che “se non faccio quello che si aspettano o che vogliono da me, morirò”. L’eccesso di sottomissione genera ostilità e aggressione verso gli altri, poiché non possiamo prenderci cura di noi stessi quando dobbiamo costantemente assecondare gli altri. Infine, le esperienze prenatali di “quasi morte” e/o perdita sono girate verso se stessi o verso altri, sotto forma di comportamenti sadici o autolesionisti, violenza criminale o pensieri e comportamenti sadomasochisti. 
La scoperta di una gravidanza indesiderata

Durante le regressioni al  periodo prenatale di clienti aggressivi, si arriva frequentemente e spontaneamente al momento in cui è stata scoperta la gravidanza e molti di loro sono sorpresi di scoprire che erano indesiderati. La scoperta di non essere stati desiderati conduce tipicamente alla realizzazione che gli episodi di depressione, auto-distruzione o aggressione di tutta una vita sono l’espressione diretta di un rifiuto prenatale. Ciò che riferiscono di solito è che possono fidarsi solo di se stessi e che tutta la loro vita è stata rivolta a rifiutare o cercare l’accettazione e l’amore  che non hanno ricevuto durante la loro vita intrauterina. La percentuale di clienti non desiderati al momento della scoperta della gravidanza è piuttosto alta ed ha delle pesanti implicazioni nei disordini del legame. Le risposte tipiche di un bambino non desiderato sono di sprofondare in un grande senso di disperazione ed impotenza, prendersela con gli altri e con le ingiustizie della vita e/o rifiutarsi di prendersi “l’impegno di vivere”.

Aggressioni Prenatali

La maggior parte degli adulti con problemi di aggressività apprendono che erano indesiderati al momento della scoperta, ma molti di loro vengono anche a sapere che sono stati esposti ad altri tipi di aggressione durante il periodo pre- e perinatale. Alcune forme comuni di aggressione sono la guerra, lotte fra bande, violenze domestiche, concepimento tramite una violenza sessuale, abusi sessuali di genitori o fratelli, energie annientanti, tossicità intrauterine e/o tentativi d’aborto.
I bambini che nel periodo prenatale vivono uno o più di queste condizioni aggressive rischiano di manifestare atteggiamenti aggressivi e violenza in proporzione al numero di esperienze subite.

Adozione

Il trauma dell’adozione si riferisce ad una vasta gamma di esperienze dolorose comuni nelle adozioni. Quando i bambini sono adottati, ad un certo livello fanno l’esperienza del trauma dell’aborto. Possono essersi verificati tentativi diretti di aborto, progetti d’aborto senza metterli in pratica oppure pensieri di aborto senza pianificazioni. Tutto ciò è traumatizzante a vari livelli.
Oltre a questo possono aver sperimentato il trauma di non essere desiderati al momento della scoperta oppure una tossicità psicologica (il bambino è esposto a sentimenti contraddittori o di abbattimento della madre o vergogna socio-culturale).
Il trauma dell’adozione può essere di vari livelli. Il livello più basso si sviluppa quando i genitori vogliono i bambini e sono riluttanti a darli in adozione anche se devono farlo per circostanze obbligatorie. Un più alto livello di trauma avviene quando i genitori si oppongo inequivocabilmente al  fatto di avere figli, quando la gravidanza è vissuta con risentimento, nei tentativi d’aborto, nelle gravidanze a scopo d’adozione e quando i bambini passano da una famiglia adottiva all’altra per un certo numero di volte.
Livelli più severi di trauma generano maggiori rischi d’aggressività.

Le procedure mediche pre- e perinatali

Quando i bambini prenatali subiscono le varie forme di trauma grave sopradescritte, sono anche predisposti ad inserire gli eventi successivi in un contesto simile. Questo è particolarmente vero quando gli eventi successivi sono le transizioni di vita stressanti (come la nascita, l’adolescenza, il primo lavoro, nuove relazioni ecc.) e/o quando questi eventi successivi sono simbolicamente simili agli eventi traumatizzanti. Ad esempio, se il feto subisce violenza prenatale, sarà portato a vivere le transizioni di vita (come la nascita) in modo violento. Freud chiamava questo processo Ricapitolazione. Tra le altre interpretazioni, ricapitolazione significa che le esperienze prenatali danno l’immagine di come saranno percepite le esperienze successive della vita.
Il caso seguente è un esempio di una madre che aveva avuto solo pochi traumi prenatali che tuttavia avevano influenzato la sua percezione e le esperienze del processo di nascita. La donna aveva ventotto anni e non aveva ancora tentato di concepire un figlio. Su madre aveva avuto diverse difficoltà nel concepire i figli ed era ansiosa anche riguardo alle sue possibilità. Sebbene non fosse ancora sposata ed il fidanzato fosse incerto, decise di avere un bambino. I due concepirono il figlio e il fidanzato ad un certo punto si rivelò  brutale e violento (dopo si scoprì che anche il padre del fidanzato si era rivelato abusivo nel periodo prenatale). Dopo una serie di aggressioni fisiche, la madre fuggì e passò il tempo rimanente della gravidanza in un luogo sicuro, in condizioni abbastanza vicine a quelle “ideali”. Era molto attenta al benessere del suo corpo e a quelle del bambino, ogni giorno meditativa e aveva molto supporto da famiglia e amici. Non ci fu nessun altro trauma o stress per tutto il periodo.
Dedicò tutto il tempo al suo bambino nel grembo, parlandogli, cantando e facendo esercizi per facilitare il legame.
Il bimbo nacque in casa, la madre descrisse il parto come semplice e veloce, senza complicazioni.
L’esperienza d’abuso iniziale invece avevano danneggiato sia lei che suo figlio. In particolare, suo figlio visse il parto in modo molto traumatico (è abbastanza comune, anche quando la mamma descrive il parto come semplice e senza complicanze). Nella sua infanzia iniziarono a rendersi evidenti le sue memorie legate al terzo mese di gravidanza. Aveva vissuto il jogging fatto dalla madre durante il terzo trimestre in modo abusivo, raccontando che la sua testa rimbalzava dolorosamente sul bacino della mamma. Il massaggio perineale (fatto molte volte durante il parto) era stato vissuto come intrusivo e le contrazioni come abuso e violenza. Era consapevole del dolore fisico della madre e percepiva che il parto la faceva stare male e per questo si sentiva in colpa e incapace di proteggerla. In breve, tutti queste sensazioni alla nascita sembravano stratificazioni e manifestazioni di trauma di abuso non risolto del primo trimestre. E’ importante sottolineare che, rispetto a bambini ed adulti, i bambini prenatali percepiscono ed interpretano le esperienze di vita in termini di esperienze vissute, perché non hanno una sufficiente integrità neurologica o esperienza vissuta per discriminare tra  la realtà del momento e quella storica.

Quando il bambino prenatale vive le esperienze di abbandono, rifiuto, violenza o abuso come abbiamo descritto in questo articolo, le riporta nel processo di nascita. Gli aghi delle amniocentesi e i cateteri delle villocentesi sono spesso percepiti come aggressioni, soprusi, e/o strumenti di rifiuto. L’anestesia è spesso percepita come un veleno (un riflesso del trauma dell’aborto) o un tentativo di sopraffazioneL’induzione del parto e la rottura delle acque sono vissuti come violazione dei confini. Estrazioni con forcipi o ventosa sono vissuti come tentativi di controllo o di annientamento.
Le contrazioni possono essere percepite come tentativi di annientamento,  distruzione o impedimento. Ad esempio, un adulto che era stato esposto a tentativi di aborto chimico e meccanico (sua madre aveva perso un dosaggio basso di pillole di cianuro e colpito ripetutamente addome ed utero con i pugni) visse le contrazioni come un tentativo di aggressione  per ucciderlo e l’anestesia come un tentativo di  avvelenamento. 

E’ di vitale importanza che il personale medico e le ostetriche comprendano l’importanza e la rilevanza dei traumi pre- e perinatali e che i bambini sono portati a vivere l’esperienza della nascita in termini di precedenti esperienze traumatiche. Ciò significa che la nascita può essere molto traumatica semplicemente sulla base della storia personale. Se ciò fosse considerato, l’intervento del medico potrebbe essere limitato a quelle situazioni in cui è ritenuto strettamente necessario oppure umanizzato con modalità diverse. Una procedura molto utile è quella di chiedere il permesso al bambino prima di iniziare una pratica medica e ottenere la risposta attraverso l’intuizione materna, facendo sapere al bambino che potrebbe sentir male o percepire un disagio e mostrare empatia, facendogli sapere che la nascita è una transizione difficoltosa con potenziali sentimenti negativi e dolorosi. E’ importante onorare e riconoscere le emozioni del bambino appena nato come legittime espressioni delle difficoltà del processo di nascita. Già questi accorgimenti aiuterebbero a diminuire i potenziali traumi. E’ inoltre importante riconoscere l’aspetto positivo della nascita, la meraviglia e la gioia che appartengo ai processi di nascita.
Pochi parti sono completamente difficoltosi e pochi  sono completamente esenti da trauma o dolore. Dobbiamo riconoscere l’intera gamma di esperienze così come si rivelano durante il processo di nascita.

Trattamenti

E’ di fondamentale importanza trattare i traumi prenatali prima possibile dato che, come abbiamo detto, i traumi primari danno la forma a come saranno percepiti e vissuti gli eventi successivi della vita. Se il trattamento viene fatto presto, durante la gestazione o nel primo anno di vita, le esperienze infantili saranno libere dalle influenze prenatali e i bambini affronteranno le loro vite libere dal peso e dai vincoli del trauma. Gli effetti del trauma sono già stati descritti (Emerson 1992,1994). I traumi irrisolti influiscono negativamente sullo sviluppo spirituale e psicologico dei bambini.  Al contrario, i bambini che non hanno subito traumi o coloro che li hanno risolti diventano persone uniche: sono più evoluti spiritualmente, manifestano un livello più alto di potenziale umano ed hanno uno sviluppo più veloce. Mostrano autostima, hanno un quoziente intellettivo più alto, sono maggiormente empatici, più maturi emotivamente, collaborativi, creativi, affezionati, amorosi, centrati e consapevoli rispetto a bambini traumatizzati non trattati (Emerson 1993).

Il fatto che i traumi pre- e perinatali determinino come gli eventi successivi della vita saranno percepiti, non significa che le esperienze dell’infanzia di per sé non siano importanti in termini di sviluppo umano. Al contrario, le esperienze infantili sono importantissime e determinano come diventeranno i bambini in futuro. Proprio perché il periodo infantile è molto importante, risulta vitale liberarlo dal peso del trauma infantile.
Prima si ha la possibilità di risolvere i traumi, maggiori saranno le possibilità del bambino di fare l’esperienza di un’infanzia non influenzata dal periodo prenatale e senza quelle forze che inibiscono i sentimenti di sicurezza, protezione e crescita. Il bambino potrà così essere libero di manifestare il proprio unico potenziale umano, utilizzare la propria intelligenza intrinseca e divenire se stesso, non oppresso da traumi precoci.

Oltre al beneficio del singolo, la società avrà minori problematiche relative a violenza e aggressività. Con riferimento al rapporto statistico del Congresso dell’APPPAH del 1995, aggressività e violenza sono in aumento e stanno raggiungendo proporzioni epidemiche.  I terapisti specializzati nella risoluzione della rabbia dichiarano una media di un cliente su cinque con un livello significativo di rabbia e collera. Questo aumento di aggressività e rabbia diventa anche estremamente costoso in termini di vite umane, in termini di costi finanziari (prigioni, aumento del numero della forza pubblica ecc, che toglie fondi al sistema scolastico) e in termini di efficienza delle nostre istituzioni. Questi sentimenti violenti sono rivolti verso se stessi o gli altri e sono molto difficili da affrontare per vari motivi. Innanzitutto, molti terapisti non comprendono che rabbia e collera, ai loro livelli più profondi, sono causati da traumi pre- e perinatali e sono collegati a difficoltà di legami perinatale.
Secondo, molti professionisti non comprendono che la rabbia e la collera non possono essere risolte solamente con la terapia verbale e occorre invece un rilascio fisico ed emotivo. Terzo, rabbia e collera sono inestricabilmente interconnesse a bassa autostima, vergogna, senso di colpa, senso d’impotenza e remissione. Questi concetti hanno bisogno di essere riconosciuti nei trattamenti di disordini da aggressività. Infine, la maggior risoluzione di rabbia e collera richiede che i rilevanti traumi pre- e perinatali siano scoperti, affrontati, scaricati, re-inquadrati e integrati nella coscienza. Aspetti aggiuntivi del trattamento dovrebbero includere l’opportunità di ripristinare un legame (nel modo in cui non è stato possibile all’epoca del trauma o con modalità che sono state impedite dal trauma).

Note sull’autore

William Emerson si è laureto e specializzato alla Vanderbilt and San Jose State University. 
Autore di decine di pubblicazioni e una serie di video formativi sul “Trattamento dei Traumi nell’infanzia”, “La guarigione del Trauma della Nascita nei bambini”, “Facilitazione della nascita”, che riflettono il suo approccio pionieristico alla risoluzione precoce del trauma. I suoi Seminari rivolti a genitori e professionisti sono proposti regolarmente negli Stati Uniti, in Europa e da quest’anno, anche in Italia.

Prato, 28 febbraio 2011 





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