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martedì 21 novembre 2017

Dieci ragioni per rispondere a un bambino che piange

DIECI RAGIONI PER RISPONDERE A UN BAMBINO CHE PIANGE

(Tratto dal Libro GENITORI CON IL CUORE di JAN HUNT)

1. I primi tentativi che un bambino fa di comunicare non possono avvenire per mezzo di parole, ma solo attraverso modalità non verbali. Non può esprimere a parole la sua felicità, ma può sorridere. Non può esprimere a parole emozioni di tristezza o rabbia, ma può piangere. Se quando sorride riceve una risposta, mentre quando piange viene ignorato, il bambino riceve il messaggio distruttivo che è amato e accudito solo quando è contento. I bambini che continuano a ricevere questo messaggio per anni non potranno mai sentirsi veramente amati e accettati.

2. Se i tentativi del bambino di comunicare tristezza o rabbia vengono solitamente ignorati, non può imparare a esprimere con parole quei sentimenti. Il pianto ha bisogno di ricevere una reazione adeguata e positiva perché il bambino capisca che tutte le sue emozioni sono accettate. Se i suoi sentimen- ti non vengono accolti, e il bambino viene ignorato o punito perché piange, riceverà il messaggio che la tristezza e la rabbia sono sentimenti inaccet- tabili, a prescindere da come si esprimono. È impossibile per un bambino capire che i suoi sentimenti di tristezza o rabbia saranno accettati quando sarà cresciuto abbastanza per poterli esprimere con parole appropriate. Un bambino può comunicare solo nei modi che gli sono possibili in base all’età; è in grado di fare solo quello che ha potuto imparare. Ogni bambino fa del suo meglio in base alla sua età, esperienza e circostanze. È assolutamente sleale punire un bambino perché non fa più di quello che può.

3. Se un bambino riceve il messaggio che i suoi genitori gli rispondono solo quando è “buono”, finirà col nascondere il “cattivo” comportamento e le “brutte” emozioni agli altri, oltre che a se stesso, rischiando di diventare un adulto che reprime le emozioni sgradevoli e non è capace di comunicare l’ampia gamma delle emozioni umane. Di fatto per molti adulti è difficile esprimere rabbia, tristezza e altre “brutte” emozioni in modo giusto.


4. La rabbia che non si è capaci di esprimere nella prima infanzia non scompare nel nulla: diventa repressa e si accumula col passare degli anni fino a quando il bambino non è più capace di contenerla ed è cresciuto ab- bastanza da non temere più una punizione fisica. Quando alla fine questo contenitore di rabbia si spalanca, i genitori sono spesso scioccati e confusi. Hanno dimenticato le centinaia o migliaia di momenti frustranti con cui hanno riempito quel contenitore negli anni. Il principio psicologico secondo cui “la frustrazione porta all’aggressività” risulta più che mai evidente nella ribellione finale di un adolescente. I genitori devono capire quanto sia fru- strante per un bambino sentirsi “invisibile” quando il suo pianto è ignorato, o sentirsi indifeso e disperato quando ogni tentativo di esprimere i suoi bisogni e sentimenti non è compreso, è ignorato o punito.

5. Tutti siamo nati con la consapevolezza che ogni emozione che proviamo è legittima. A poco a poco perdiamo questa convinzione se solamente il lato “buono” di noi riceve una risposta positiva. Questa è una tragedia, perché solo quando accettiamo pienamente noi stessi e gli altri, nonostante i nostri errori, possiamo instaurare autentiche relazioni affettive. Se non siamo stati pienamente amati e accettati durante la nostra infanzia, potremmo non riuscire mai a imparare cosa si prova e come si comunica questa accettazione agli altri, indipendentemente da quante terapie, letture o riflessioni facciamo. Quanto sarebbe più facile la nostra vita se solo avessimo ricevuto amore incondizionato nei nostri primi anni!

6. I genitori che si chiedono se debbano rispondere o no al pianto di un bambino, pensino a quali sarebbero le loro personali reazioni nelle mede- sime situazioni. Molti genitori pensano che sia giusto ignorare il pianto del bambino, però provano una gran rabbia se il loro compagno o compagna li ignora quando cercano di conversare. In tanti nella nostra società credono che una persona debba raggiungere una certa età per avere il diritto a essere ascoltata. E quale sarebbe mai l’età giusta? I neonati e i bambini non sono esseri umani meno importanti di noi solo perché sono piccoli e indifesi. Anzi, più siamo indifesi, più meritiamo affetto, aiuto e considerazione.

7. Se i bambini imparano dall’esempio dei genitori che le persone indifese meritano solo di essere ignorate, rischiano di perdere quella compassione verso gli altri con cui tutti gli esseri umani sono nati. Se quando erano neo- nati indifesi le loro lacrime sono state ignorate, iniziano a pensare che quella sia la risposta giusta nei confronti dei più deboli. La mancanza di compas- sione è la premessa della violenza che seguirà. Chi si meraviglia di come un criminale violento non abbia nessuna pietà per le sue vittime dovrebbe riflettere sull’origine della perdita di quella pietà. La compassione non sva- nisce da un giorno all’altro, ma viene derubata da un’educazione insensibile o punitiva, goccia dopo goccia, fino a esaurirsi. Perdere la compassione è la tragedia più grande che possa accadere a un bambino.

8. Quando un bambino impara dall’esempio dei suoi genitori che è giu- sto ignorare il pianto di un neonato, tratterà i suoi figli nello stesso modo, a meno che non si verifichi qualche intervento esterno. La condizione di geni- tori inadatti si tramanda di generazione in generazione fino a quando qualche evento propizio non interverrà a cambiare quel modello. Quanto sarebbe più facile per un genitore se avesse appreso fin dalla sua infanzia come si trattano i bambini! Questo ciclo inadeguato potrà forse iniziare a cambiare quando nessuno ignorerà più un bambino che piange disperatamente, ma si fermerà ad aiutarlo. Potrebbe essere la prima volta che quel bambino riceve il messaggio vitale che i suoi sentimenti sono legittimi e importanti, e questo messaggio forse lo ricorderà in seguito, quando anche lui sarà genitore.

9. Il pianto è un segnale fornito da madre natura per richiamare i genitori affinché provvedano ai bisogni del neonato. La natura non avrebbe mai dotato i bambini di un richiamo ricorrente senza motivo.

10. I genitori che rispondono solo al “buon comportamento” talvolta credono di educare un bambino a “comportarsi meglio”. Eppure anche loro si sentono più collaborativi con chi li tratta con gentilezza, in qualunque situazione. È un altro esempio di come i bambini vengano visti come una specie diversa, quando in realtà sono persone che si comportano secondo gli stessi princìpi di tutti gli altri esseri umani. Come tutti, reagiscono meglio alla gentilezza, alla pazienza e alla comprensione. I genitori che si interrogano sul perché un bambino sia “maleducato”, dovrebbero fermarsi e chiedersi: “Io mi sento di collaborare se qualcuno mi tratta bene, oppure se mi tratta nel modo in cui ho appena trattato mio figlio?” 

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